di Antonio Maglietta - 10 luglio 2007
Sappiamo che i forti flussi migratori, che registriamo oramai da qualche anno anche verso il nostro Paese, rappresentano la seconda tappa di un processo, la globalizzazione, che all'inizio ha interessato soprattutto il campo economico. Lunedì scorso, dalle colonne del quotidiano francese Le Figaro, il Segretario generale dell'Onu, nel giorno in cui a Bruxelles si è riunito il Forum mondiale sulle migrazioni e lo sviluppo (con la partecipazione di circa 800 delegati di oltre 140 paesi), ha lanciato un appello per fare delle migrazioni un fattore di sviluppo. Nell'occasione Ban Ki-moon ha bacchettato i governi nazionali rei, a suo avviso, di lentezza nell'adattamento al fenomeno, da lui stesso definito, l'età della mobilità; una lentezza che, secondo il segretario generale dell'Onu, ha portato ad una rapida espansione dell'immigrazione illegale, a tensioni sociali, a pratiche discriminatorie, a perdita di fiducia nei governi e al rafforzamento delle associazioni a delinquere. Secondo Ban Ki-moon «Non possiamo nascondere il fatto che le migrazioni possono anche avere conseguenze negative ma il forum mondiale sulle migrazioni offre l'occasione per far fronte a tali conseguenze a livello globale, per consentire sia ai paesi in via di sviluppo che a quelli industrializzati di trarre tutti i vantaggi portati dalle migrazioni. I mezzi per ottenerli sono quelli che determinano la nostra appartenenza comune all'umanità: tolleranza, accettazione sociale, istruzione e un'apertura reciproca alle differenze culturali».
Le Nazioni Unite stimano che siano 191 milioni i migranti nel mondo, cifra simile a quella registrata all'inizio del secolo precedente. E' importante sottolineare, però, che i flussi migratori oggi avvengano in un contesto ben diverso di quello registrato nel secolo precedente. La minaccia del terrorismo internazionale oramai interessa ogni angolo del pianeta e la salvaguardia della sicurezza nazionale è diventato il primo punto nell'agenda dei governi nazionali. Ad esempio in Australia ci saranno controlli più dettagliati su coloro che chiederanno un visto grazie a una nuova tecnologia messa a punto dall'Asio (i servizi di sicurezza australiani). Lo ha reso noto, sempre lunedì, il quotidiano australiano The Australian. I legami emersi tra alcuni residenti in Australia e i falliti attentati di Londra e Glasgow hanno sollecitato il governo del premier Howard a introdurre un nuovo sistema di controllo delle frontiere, che entrerà in funzione a settembre. Il varo del nuovo sistema, che renderà noti maggiori particolari sulle persone che faranno richiesta di un visto d'ingresso, era stato inizialmente previsto per ottobre, ma il governo ha preferito accelerare i tempi per renderlo operativo prima della conferenza dell'Apec (Asia-Pacific Economic Corporation) prevista a Sydney, alla quale parteciperanno, tra gli altri, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush e il suo omologo russo Vladimir Putin. Il premier John Howard ha dichiarato che il nuovo sistema, costato più di 30 milioni di euro, permetterà all'Asio, e al Dipartimento dell'immigrazione australiano, di integrare database differenti e di estendere i controlli a spostamenti, dettagli finanziari e comportamentali dei richiedenti. «L'uso di un software altamente sofisticato ci darà l'opportunità di conoscere maggiori dettagli sulle persone che chiederanno di entrare in Australia - ha detto Howard - e ci consentirà anche di avere maggiori informazioni su chi si trova già nel Paese». Il leader dell'opposizione, Kevin Rudd, associandosi all'iniziativa, ha detto che il Labour sostiene «qualsiasi misura adottata per accrescere la sicurezza nazionale».
Nel Vecchio Continente invece, secondo quanto riportato lunedì dal quotidiano The Guardian, il segretario generale dell'Interpol, Ronald Noble, ha accusato il premier britannico, Gordon Brown, di non avere dato attuazione ai suoi propositi di una maggiore condivisione delle informazioni sui sospetti terroristi nel Regno Unito. «I cittadini britannici potrebbero rimanere sorpresi se sapessero che la lista annunciata dal primo ministro la scorsa settimana non è stata inviata all'Interpol», ha sottolineato il capo dell'Agenzia. Noble ha spiegato che l'Interpol è in possesso di «numeri di passaporti, impronte digitali e fotografie di oltre 11.000 sospetti terroristi».
Insomma, le notizie provenienti da ogni latitudine del globo terrestre indicano che gli stati nazionali, per far fronte alle minacce provenienti dal terrorismo internazionale, farebbero bene a predisporre un sistema di identificazione e controllo a maglie strette degli immigrati che entrano nel loro territorio. Ma è chiaro che questa non è la bacchetta magica che risolve il problema legato alla salvaguardia della sicurezza nazionale. L'iniziativa va inquadrata, invece, nell'ottica di uno strumento utile per abbassare il grado di vulnerabilità dell'apparato di sicurezza nazionale e, conseguentemente, diminuire le possibilità di attacco da parte dei terroristi.
La sfida che attende i governi nazionali nella regolamentazione del fenomeno dell'immigrazione, quindi, è quella di conciliare il più possibile la sicurezza nazionale, minacciata dal terrorismo internazionale ma anche, più in generale, dal crimine organizzato, con la tolleranza, l'accettazione sociale, l'istruzione e un'apertura reciproca alle differenze culturali. Una sfida difficile e piena di insidie che non può prescindere dalla salvaguardia dell'identità culturale delle realtà nazionali e dalle istanze dei cittadini che chiedono, a gran voce, maggiore sicurezza.
martedì 10 luglio 2007
Immigrazione: sicurezza e tolleranza
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